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La vetrina dei segreti

A cura di Francesca Guastalli, 10 settembre 2017

Le arginature del fiume Magra nella seconda metà del Settecento

Cabreo di Lusuolo
Archivio comunale di Bagnone, fogli sciolti, s.d.

Questi documenti sono conservati presso l'Archivio Domestico dei Malaspina di Mulazzo e gli Archivi comunali di Bagnone e Filattiera

Il fiume Magra, nel suo storico rapporto con la vita degli abitanti della Lunigiana, segnava il confine tra i feudi e il dominio Granducale: quasi sempre il confine era fissato nel ramo più grosso dell’acqua; periodicamente il corso del “ramo più grosso” si spostava e poteva accadere che, dopo una piena, il confine mutasse in danno di una comunità e a vantaggio di quella prospiciente.

Alla fine del '700 le comunità di Filattiera, Mulazzo e Groppoli sono impegnate in opere di arginatura e a fianco delle comunità si trovano tre realtà politiche diverse: Firenze Granducale a Filattiera; i nobili e ricchi patrizi genovese Brignole Sale a Groppoli; il marchesato dei Malaspina di Mulazzo dotato di pochi mezzi economici, rappresentato da Azzo Giacinto III Malaspina.

A Groppoli i Brignole Sale per tre secoli investirono ingenti capitali in difesa dei prati della Magra e per ridurre a coltura nuove aree da destinare a nuovi poderi, della cui organizzazione e arginazione è testimonianza lo studio dei luoghi del cartografo architetto Matteo Vinzoni il quale, analizzando i danni della piena del 1757, aveva sottolineato il rapporto tra i disboscamenti sui monti ai fini di metterli a coltura e le piene a valle, ad esempio del torrente Mangiola affluente del Magra le cui piene anticipavano quelle del fiume stesso. 

Il magistrato della Comunità, relativamente alla piena del fiume dell’anno 1757, sottolineava che gestire il letto del Magra non era cosa da poco atteso che questo Fiume correndo in ghiare di larghezza soprabbondante difficilmente può mantenere la rettitudine, perché spingendo sregolatamente le ghiare, le ammassa, e le lascia al cessare delle piene in mezzo del proprio letto, ond’è che facendosi rialzi scalzano questi la corrente a voltarsi a quel lato, ove trovando materia poco resistente in tempo d’acqua bassa, si sprofonda un nuovo alveo e fa come una chiamata alla piena sopravveniente.

Pietro Leopoldo in visita in Lunigiana nell’anno 1786 osserva nella sua relazione di viaggio che lungo la Magra, avanti e dopo Filattiera fino al fiume Caprio vi sono tra la Magra e i poggi le cosiddette ghiare. Il fiume Magra porta via il terreno dalle ripe del Feudo di Mulazzo deponendole verso Filattiera: in questa maniera ha fatto acquisti considerabili quella comunità che allivella a piccole porzioni e ne tira il suo canone, depositando il fiume prima sassi grossi, poi sabbione e poi terra ottima, come si vede nelle coltivazioni che vi sono a grano, viti e formentone e a prati, dove si sega il fieno tre volte atteso il comodo che vi è a poterli irrigare. Questi terreni che si difendono dalle ulteriori inondazioni della Magra con dei sassi murati che si chiamano more, larghe un braccio e mezzo e alte due in tre: son murate a calcina, che in quei luoghi, atteso il comodo del fosso, son di poca spesa. Questi Muri si facevano dalla comunità di Filattiera finché era comunità da sé, coll’opera gratuita degli abitanti, facendone un pezzo per ogni anno e con poca spesa e servivano di riparo al fiume e, benché bassi, si ottiene l’effetto che quando il fiume è grosso non vi può portare nè sassi nè rena ma gli sormonta e vi porta la terra con l’acqua torba. La continuazione, restaurazione e terminazione di questi argini è di somma importanza per mantenere quei terreni e la pianura di Filattiera. Vi va mandato subito un ingegnere per visitare il luogo e proporre i lavori da farvisi per assicurare il piano di Filattiera e rifare le cosiddette more dove sono mancanti. Per avanzare i lavori prima dell’inverno, tanto più che il Marchese di Mulazzo (leggesi Azzo Giacinto III Malaspina) ha fatto dei lavori che voltano tutta la corrente del fiume verso Filattiera.

Ecco dunque i lavori di arginatura che preoccupavano il Granduca e che nel 1779 Azzo Giacinto III Malaspina aveva voluto realizzare sul proprio territorio, affinché il permesso di uso e dominio dello stesso agli uomini del Comune accordato dai marchesi suoi predecessori, acquisisse un carattere di pieno dominio dei comunisti sulle ghiare del fiume Magra, attraverso i ripari che ivi si dovevano realizzare per salvarle dalle inondazioni. Azzo Giacinto III dà una precisa indicazione di come questi lavori dovessero essere condotti, come le more dovessero essere costruite e dove, ma anche come ricavare risorse da impegnare in quest’opera gravosa per una comunità non molto abbiente alla quale Azzo Giacinto III guardava paternamente come sovrano illuminato, attento alla applicazione giusta della legge ma soprattutto teso a garantire la tranquillità e il benessere del suo popolo attraverso la produzione di un vero e proprio corpus giuridico al quale le seguenti leggi sul fiume appartenevano.

E la legge sul fiume, dopo l’iter di confronto con i consoli della comunità, è approvata nell’ottobre del 1779 e contiene tutte le indicazioni necessarie per conciliare il privato vantaggio con la giustizia e il bene pubblico. Dice dunque Azzo Giacinto III: Mio sentimento sarebbe senza imitare l’ardire degli acuti ripari dei nostri frontisti cercassimo opporvisi in linea al più dolce ma tale che al punto della prima mora di Migliarina che col traguardo si vedrà ferire la punta inferiore dell’alveo del canale detto della Carrara sia ricevuta nel mezzo della mora, vogliamo fare non già un angolo retto ma superiormente con un angolo di 60 gradi e conseguentemente l’angolo inferiore sarà di 120 gradi ciò che dicasi della prima mora deve replicarsi alla seconda alla terza e alla quarta tanto rispetto a Migliarina che a noi credo che un angolo tale abbia forza bastante per volgere il corso del canale delle acque senza ricevere l’urto col angolo retto il più pericoloso di tutti i torrenti che portano smisurata piena come il nostro. Finalmente il modo di fabbricare nell’alveo sarebbe secondo il mio parere a dadi di 10 braccia in quadro sopra terre dandogliene per altro al fondamento almeno 11 per ogni facciata simili more ben difficilmente possono essere scalzate e scalzate ancor difficilmente rovesceranno per l’estensione della loro base. Il 2° oggetto egualmente importante per la buona riuscita dell’intento è assicurare un sufficiente sicuro assegno onde supplire alle gravi spese che occorrono col minore possibile aggravio delle persone e dei beni di questo comune.

Azzo Giacinto III indica la necessità di realizzare un reddito di 300 scudi da impiegarsi nelle maestranze e per comperare il materiale appoggiato in parte al reddito della comunità che ne acquista il dominio ed in parte ai comunisti che equilibratamente investiti di questi terreni sottratti al fiume avranno in futuro un non meno indifferente aumento di benefici. Ecco i nuovi capitoli del 5 gennaio del 1780:
1. Si doveva mettere dunque a coltivazione il Pian Turcano, investendo i 300 scudi per comperare legna; si dovevano impiegare diversamente le rendite annuali dell’Ospedale di Sant’Antonio di Mulazzo, pari a metà della cifra, diminuendo la distribuzione del pane di Sant’Antonio ad uno per famiglia, mantenendone comunque la tradizione sentita dal popolo come protettiva.
2. L’altra metà del fabbisogno veniva tratta dall’applicazione di una nuova legge sull’estimo del 30 agosto 1779, correttiva dello stesso, rifondatrice dei municipi ed ordinamenti e prevedente un pubblico annuo rendiconto delle entrate e spese di ciascun comune.
3. Con questa legge il territorio era diviso fra comunisti e frontisti e tutte le parti individuate e concesse ai frontisti erano date a livello perpetuo mediante la corresponsione alla comunità di un onere bassissimo di 4 o 5 lire di Parma atto a garantire comunque una entrata certa per la comunità, da destinarsi alla manutenzione delle more.
4. La comunità per aderire al progetto della nuova costruzione delle more e partecipare alla divisione dei terreni conseguenti doveva presentare istanza e le famiglie ammesse venivano esonerate da comandate generali o decime attraverso l’annuo esborso di 12 lire di Parma, aumentate a 18 per le persone suddite ma residenti fuori dallo Stato.
5. Prima della divisione delle terre acquistate dal Canale della Carrara alle more della Giarretta e da queste fino al confluente della Mangiola, dovevano essere isolate con masere di sassi le parti pubbliche da tenere a bosco, con il solo diritto di pascolo, ma senza diritto di tagliare legna per evitare il disboscamento e il dilavamento conseguente, ma anche per poter avere riserva di legna e far funzionare le fornaci necessarie alla realizzazione di nuovi ripari o ai restauri dei vecchi.
6. Se il fiume dopo le divisioni avesse portato via i terreni assegnati a qualcuno, con spesa e fatica comune di tutti sarebbe stata necessaria la costruzione di nuove more o il ripristino delle vecchie e i danneggiati nel frattempo sarebbero stati sgravati del canone a favore della comunità che sarebbe poi stato subito dopo ripristinato, effettuati i lavori.