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Una città e il suo fiume: Firenze e la vita lungo l'Arno

a cura di Franca Orlandi, aprile 2016

Lavorare in Arno: barcaioli e renaioli

Riproduzione della stampa di Giuseppe Zocchi del 1744, raffigurante il lungarno Guicciardini, il Ponte Vecchio e il ponte S. Trinita
ASCFi, AMFCE, 1122 (cass. 38, ins. B)

Molte attività economiche si sono sviluppate lungo l'Arno: la sua acqua serviva per i mulini e per lavare i panni, oppure come mezzo di trasporto di legname, di prodotti e di persone, soprattutto prima della costruzione di tutti i ponti, che mettono in comunicazione le diverse parti della città. Anche alcuni mestieri e manifatture erano strettamente legati al fiume: lì svolgevano la loro attività, ad esempio, il renaiolo e il fabbricante di piume di struzzo. Con tante persone che lavoravano lungo gli argini del fiume, tanti erano anche i problemi, specialmente per le numerose violazioni dei regolamenti municipali in materia di ingombro del suolo pubblico e di scarichi abusivi.
Per questo motivo, la Camera delle comunità del Granducato inserì nel Regolamento generale del 1782 una parte sostanziosa riguardante i tipi di "ingombri" proibiti sui fiumi toscani e dunque anche sull'Arno. Sia per costruire uno scalo di barche, che per aprire un bagno pubblico sul fiume, occorreva sempre un permesso rilasciato dalla Comunità, che poi controllava il rispetto delle regole e riscuoteva le relative tasse di licenza.

In una città con un'intensa attività edilizia, occorreva molto materiale da costruzione, soprattutto la rena: molti erano dunque i renaioli, spesso di estrazione sociale medio-bassa. La rena veniva estratta in alcuni punti prestabiliti dell'Arno e poi ammassata in vere e proprie cave, dette "renai"; questi erano situati lungo le due sponde, nel tratto compreso tra le due pescaie d'Ognissanti e di S. Niccolò. I renaioli avevano un'imbarcazione (il "barchetto"), che ogni sera tiravano a riva per custodirlo presso gli scali: si temeva che nella notte il barchetto potesse servire per contrabbandare merci, aggirando il controllo della Dogana. Il barchetto, che il renaiolo doveva tenere sempre in buono stato, poteva essere utilizzato dalla Comunità per trasportare le persone in caso di eccezionali piene del fiume. Lavorando soprattutto d'estate e a torso nudo, i renaioli creavano scandalo tra i passanti: secondo i turisti alloggiati nel 1829 nell'Albergo Schneiderff (detto anche dell'Inghilterra), situato nel palazzo Medici-Soderini sul Lungarno che oggi si chiama Guicciardini, la loro attività era "in grave pregiudizio, ancora della decenza, e della pubblica onestà". Alcuni proprietari dei palazzi vicini si ritenevano - come nel 1847 la principessa Elisa Napoleona Baciocchi, residente nel Casino Pecori presso il ponte alla Carraia - danneggiati dai mucchi di rena lasciata ad asciugare.

Fino alla metà dell'800, quando il trasporto ferroviario sostituì progressivamente quello fluviale, l'Arno ha rappresentato la più importante, rapida ed economica via di comunicazione verso il mare. Con la scomparsa del traffico commerciale, negli anni Trenta del '900 l'Arno fu solcato addirittura da una motonave turistica, la "Fiorenza", allestita come dancing galleggiante. Ma due secoli fa il paesaggio era ben diverso. Ad esempio, le industrie che avevano bisogno delle materie prime - arrivate al porto granducale di Livorno - si insediavano lungo le rive del fiume: è il caso delle officine del gas, nel quartiere del Pignone. Merci e persone viaggiavano a bordo di imbarcazioni a fondo piatto - "barchini", "barchetti", "navicelli", "scafe" - e in tutti i centri che si affacciavano sul fiume, Firenze compresa, prosperavano professioni legate a questa via d'acqua. Adibiti al trasporto e al carico/scarico delle merci erano i navicellai, i bardotti, i navalestri e i vetturali. I primi conducevano lunghe imbarcazioni, spesso a vela, con tanto di timone e "alzaio" (canapo) per la navigazione contro corrente, cui era addetto il bardotto; il navalestro puntava sul fondo del fiume lunghe pertiche per spingere avanti i "barchini".
Altre persone erano coinvolte nella costruzione e manutenzione delle barche, specialmente al Pignone: i maestri d'ascia e i legnaioli, che costruivano gli scafi, e i calafati, che pensavano alla loro impermeabilizzazione. I navicellai appartenevano a una corporazione piuttosto importante e di condizione sociale agiata, e in occasione dei festeggiamenti per il patrono della città, S. Giovanni, prestavano le loro imbarcazioni alla Comunità.

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