Come già avvenuto in tutte le nazioni che parteciparono al conflitto, in Italia, in particolare tra gli interventisti, era diffusa l’illusoria idea che questo sarebbe stato breve e vittorioso. Inoltre, dopo un cinquantennio di pace in Europa, non era stato compreso che la grande rivoluzione tecnologica dei decenni precedenti aveva profondamente trasformato anche le tecniche militari, sviluppando armi ben più micidiali di quelle usate nel recente passato. Ne conseguì che quella che sarebbe dovuta essere un’avventura di breve durata si trasformò in uno spaventoso massacro senza fine. In Italia (ma la considerazione vale anche per le altre nazioni in guerra) la sostanziale impreparazione dell’esercito e l’ottusità delle massime cariche militari costrinse le truppe ad impegnarsi in battaglie sanguinose ed inutili, che costarono la vita a centinaia di migliaia di giovani, appartenenti soprattutto alle classi popolari, in gran parte contadine.
L’Italia sostanzialmente commise lo stesso errore militare degli altri stati europei, basandosi su metodi e tecniche obsolete ed insufficienti. Né furono tratte le debite conclusioni dagli eventi bellici verificatisi tra l’agosto del 1914 e il maggio 1915; in questa incapacità di comprendere le caratteristiche di guerra di trincea che avrebbe stabilmente assunto il conflitto l’Italia fu accumunata però a tutte le potenze che partecipavano alla guerra, che ancora speravano di passare rapidamente, con la primavera del 1915, ad una guerra vittoriosa di movimento. Per quel che riguarda l’esercito italiano, il generale Luigi Cadorna prevedeva di realizzare una classica manovra con una grande battaglia in territorio austriaco per raggiungere prima Lubiana poi Vienna. La realtà fu ben diversa: gli austriaci si attestarono ad una distanza di pochi chilometri dal confine, scegliendo una linea difensiva facile da sostenere. In particolare nel fronte orientale, sul Carso, ove le posizioni austriache erano particolarmente solide ed inespugnabili, si consumarono undici battaglie che decimarono le truppe italiane con risultati militarmente irrilevanti. Di queste cariche disperate contro le trincee nemiche ci sono arrivate molte testimonianze, sotto forma di diari o di lettere ai familiari.
Molti degli interventisti si arruolarono, partecipando di persona alle operazioni militari, talvolta anche in prima linea; fra essi alcuni persero la vita, come Renato Serra od Umberto Boccioni, molti altri furono feriti, come Prezzolini e Soffici.
Particolarmente tragica fu la sorte di Cesare Battisti, socialista trentino che, allo scoppio della guerra, era fuggito da Trento, che faceva allora parte dell’Impero asburgico, e si era arruolato nell’esercito italiano. Catturato e considerato traditore dagli austriaci, fu impiccato il 12 luglio 1916. Battisti aveva vissuto a Firenze negli anni Novanta dell’Ottocento, laureandosi in lettere; qui aveva conosciuto Ernesta Bittanti, poi sposata, e Gaetano Salvemini, col quale i coniugi Battisti stabilirono uno stretto legame di amicizia, riflesso anche da un carteggio destinato a durare, con la Bittanti, fino alla morte di Salvemini (1957) .