“Zeffirelli. L’arte dello spettacolo”. Così si intitolava la mostra dedicata alla lunga carriera di Zeffirelli inaugurata nel maggio del 2015, a Tivoli, nell’incantevole scenario di Villa d’Este. Non è facile trovare una definizione altrettanto felice per descrivere ciò a cui Franco Zeffirelli ha dedicato la sua vita. Quell’arte dello spettacolo che presuppone immaginazione e talento, richiede abilità narrativa, pretende studio continuo e letture quasi sterminate, coraggio di osare e cura quasi maniacale per i dettagli, ovvero una dedizione sconfinata per il lavoro che si è scelto.
Unico Franco Zeffirelli, come il suo cognome, frutto dell’immaginazione della madre, Alaide Marosi, ispirato a un’aria dell’Idomeneo di Mozart, “Zeffiretti lusinghieri”, poi trascritto male all’anagrafe e diventato per sempre Zeffirelli. Cognome che non smetterà mai di usare anche dopo essere stato riconosciuto dal padre, Ottorino Corsi, facendone il suo nome d’arte.
Un’esistenza complessa. Le vicende avventurose della giovinezza tra i partigiani, gli incontri e le collaborazioni con molti tra i personaggi più brillanti del teatro e del cinema del Novecento. Un uomo libero, allergico ai totalitarismi, apertamente antifascista e anticomunista. La passione per il teatro e le sue infinite suggestioni influenza presto le sue scelte di vita. L’amore per l’opera lirica gli è trasmesso dagli zii Lide e Gustavo che se ne prendono cura dopo la morte della madre. Giovanissimo affronta uno dei suoi primi lavori teatrali: l’allestimento della scenografia di Livietta e Tracollo di Pergolesi per il saggio annuale della celebre Accademia Chigiana di Siena. Qui, la cugina della madre, Ines Alfani Tellini, tra le cantanti preferite di Toscanini, dopo il ritiro dalle scene, aveva ideato una cattedra di arte scenica – un’idea veramente moderna per quel tempo – per giovani musicisti e cantanti di tutto il mondo.
Ben presto il giovane Zeffirelli intuisce i felici esiti che può produrre l’incontro di teatro e musica. Scriverà nella sua autobiografia (edita da Arnaldo Mondadori nel 2006), ricordando gli inizi, “amavo l’opera perché amavo la musica, ma non avevo ancora scoperto che è la più assoluta e la più completa fra le arti dello spettacolo, perché le riunisce tutte: musica, canto, dramma, scenografia, coreografia. È il praticello dell’Olimpo, dove tutte le Muse si riuniscono tenendosi per mano in un magico cerchio”. Un amore ricambiato che non si sarebbe mai interrotto e al quale nel tempo si affiancherà quello per la regia. È lo stesso Zeffirelli a sottolineare quanto fosse inconsueto al tempo ciò che oggi può sembrare normale, essere regista e scenografo. Due “professioni ben distinte ma concomitanti” che lo portano a “maturare parallelamente le due diverse carriere”. “A volte”, ricorderà il Maestro nella sua autobiografia, “lavorando come regista, mi si chiedeva: cosa ne dice tuo fratello siamese, lo scenografo?”