Realizzato nel suo assetto moderno fra il 1563 e il 1564 per volere di Cosimo de' Medici il fosso Macinante aveva la funzione di regolare le piene dell’Arno e di azionare una serie di mulini posti lungo il suo corso; da questa seconda attività deriva il nome con cui è più comunemente conosciuto. Il canale andò inoltre a costituire il confine delle Cascine dell’Isola, che si trovarono racchiuse fra i due corsi d’acqua e poi dal torrente Mugnone fino al suo sbocco in Arno all’Indiano.
Si trattò di un’operazione strategica che riassumeva una serie di interessi medicei non solo di tipo economico, legati cioè all’attività industriale del canale, ma anche alla valorizzazione dell’area della bandita medicea di cui lo stesso bandito – così denominato secondo alcuni “dal divieto di potervi pescare” - faceva parte, nonché alla difesa dalle piene del Mugnone. La sua realizzazione si inserisce infatti in un più ampio programma di riassetto del sistema idraulico e di bonifica del territorio di Porta al Prato che si rese indispensabile dopo l’alluvione del 1557, la cui attuazione fu favorita anche dal matrimonio di Francesco de’ Medici e Giovanna d’Austria. Dopo la piena fu infatti necessario risanare anche la campagna, in vista del fatto che il corteo nuziale sarebbe partito da Poggio a Caiano ed entrato in città da Porta al Prato. Tale programma comprendeva anche la deviazione del torrente Mugnone, che come fossato di difesa era già stato spostato più volte per seguire l’avanzamento delle mura cittadine.
Il corso del canale inizia all’estrema destra della pescaia di Ognissanti, e prosegue per quasi undici chilometri passando sotto il Mugnone al Barco fino a confluire nel Bisenzio a San Mauro a Signa, per finire poco lontano in Arno insieme al Bisenzio stesso. Lungo il suo percorso il canale alimentava le ruote dei mulini del Barco, di Petriolo e di San Moro. Dalla seconda metà dell’Ottocento la sua funzione industriale è andata diminuendo, a causa dei rinnovamenti tecnologici che portarono all’avvento dei mulini a cilindri e all’utilizzo di forze motrici che permisero la collocazione dei mulini stessi lontano dai corsi d’acqua. Contemporaneamente, in seguito anche al graduale sviluppo della città, il canale, che per il proprio tracciato parallelo all’Arno riceveva già alcune fogne, finì per diventare un grande collettore. Tale destinazione portò nel 1885 ad una causa intentata dal demanio dello Stato, che ne era proprietario, al Comune di Firenze. Con una sentenza del 1893 il tribunale dichiarò che il Comune era tenuto a risarcire i danni provocati dalle immissioni delle acque e a pagare una quota delle spese per il riordinamento e la manutenzione del canale. La questione si risolse finalmente nel 1921, quando il Comune di Firenze acquistò tutto il canale, le acque e gli annessi.